L’ idea di comporre un poema sulla I° Crociata venne per la prima volta a Tasso nel 1559, quando aveva solo 15 anni.
Il lavoro venne più volte interrotto e ripreso per essere terminato nel 1575, quando Tasso si trovava a Ferrara, presso la corte del duca Alfonso d’Este, al quale sappiamo che il poema venne letto nell’estate di quell’anno.
Durante il periodo di prigionia trascorso dal poeta a Sant’Anna circolavano copie manoscritte del poema. Una di esse venne fatta pubblicare nel 1580 con il titolo Goffredo senza che Tasso ne desse l’autorizzazione. Questa prima edizione comprendeva solo i primi 14 canti.
In risposta a questa edizione scorretta, nel 1581, Tasso fece pubblicare a Ferrara la versione completa del poema, con il titolo Gerusalemme Liberata. Una seconda edizione, con modifiche, venne pubblicata nel 1584. Oggi leggiamo il testo del 1581.
I discorsi dell’arte poetica
Poco dopo il suo arrivo a Ferrara, parallelamente alla ripresa del lavoro sul poema, Tasso scrisse tre Discorsi dell’arte poetica e in particolare del poema eroico.
In queste opere teoriche, Tasso, ispirandosi ad Aristotele, cercò di tracciare le regole che definissero le caratteristiche del poema eroico in contrapposizione al poema cavalleresco di Ariosto, ritenuto troppo libero e irregolare.
1) Tasso sostiene che, se la storiografia tratta del vero, di ciò che è veramente accaduto, la poesia tratta del verisimile, di ciò che sarebbe potuto avvenire.
2) Il poema eroico per essere verisimile, deve trarre il suo argomento dalla storia, ma, per distinguersi dalla storiografia, deve lasciarsi un margine di finzione.
3) Le teorie contemporanee a Tasso (siamo nel periodo della Controriforma) assegnavano alla poesia un ruolo morale ed educativo. Tasso però è convinto che non si possa negare alla poesia il ruolo di intrattenimento piacevole, come sostenevano le teorie del pieno Rinascimento.
4) Per conciliare questi due opposti Tasso sostiene che il diletto, la piacevolezza deve essere uno strumento utile a trasmettere un insegnamento morale (in questo modo riprendeva l’antico insegnamento del poeta latino Orazio: “mescolare l’utile al dolce”).
5) Nel poema eroico il diletto è assicurato dal meraviglioso. Tasso però respinge il meraviglioso fiabesco del poema cavalleresco (maghi, mostri, cavalli alati, foreste incantate, filtri magici…), perché questo comprometterebbe del tutto il verisimile. Tasso propone il meraviglioso cristiano: gli interventi di Dio, degli angeli e dei demoni appaiono verisimili al lettore cristiano perché fanno parte delle “verità” della sua fede.
L’ARGOMENTO
Tasso respinge i temi delle leggende bretoni e carolingie, utilizzati dagli autori dei poemi cavallereschi, e si rivolge alla storia: la conquista di Gerusalemme da parte dei crociati nel 1099.
All’epoca di Tasso il tema di una nuova crociata era sentito come attuale: l’espansione dell’impero turco-ottomano nell’Europa orientale e nel Mediterraneo meridionale minacciava gli Stati dell’Europa occidentale; le incursioni dei pirati turchi danneggiavano le coste italiani e i commerci marittimi. Solo con la battaglia di Lepanto (1571) le flotte delle potenze cristiane alleate riuscirono a fermare l’avanzata turca.
Tasso quindi rinuncia a trattare di belle favole collocate in un tempo mitico finalizzate al piacevole svago del lettore, ma si occupa di una materia vera, seria che deve stimolare la coscienza cristiana alla riscossa.
Da questa scelta deriva anche il tono del poema che rinuncia ai registri comici e colloquiali tipici dei poemi cavallereschi.
SE il poema cavalleresco è caratterizzato da una moltitudine di eroi e di azioni che si intrecciano dando vita a una narrazione che sembra poter continuare all’infinito, Tasso cerca, rispettando le regole di Aristotele, di dare al poema unità:
- C’è un’azione principale – l’assedio di Gerusalemme e la sua conquista
- C’è un eroe centrale – il comandante dell’esercito crociato, Goffredo di Buglione
E’ vero che attorno a Goffredo ci sono altri eroi che, spinti dall’amore o dal desiderio di gloria personale, in più occasioni abbandonano l’impresa e si allontanano dal luogo centrale dell’azione, ma Goffredo riesce ad annullare queste tendenze disgregatrici e a garantire l’unità del campo cristiano e dell’impresa.
L’INTRECCIO
Il poema si compone di 20 canti. Il metro utilizzato è l’ottava di endecasillabi (come per il Furioso e tutta la tradizione del poema cavalleresco italiano).
Al sesto anno di guerra Dio osserva dal cielo il campo cristiano e osserva come i principi abbiano dimenticato il loro dovere e siano impegnati solo a inseguire fini personali. Invia quindi l’arcangelo Gabriele da Goffredo di Buglione, l’eroe più puro, l’unico rimasto fedele alla missione, affinchè o spinga ad incitare i compagni a riprendere l’impresa. Goffredo viene eletto capo supremo dell’esercito.
I crociati marciano su Gerusalemme e vi pongono l’assedio. Ne nascono le prime battaglie, durante le quali si segnalano, tra i cristiani, Tancredi e Rinaldo, tra i musulmani, la guerriera Clorinda e il feroce Argante.
Satana vuole contrastare l’impresa dei crociati e manda in aiuto ai musulmani le sue schiere di demoni. Strumento del demonio è anche la bellissima maga Armida, che giunge al campo cristiano fingendosi una perseguitata. Ella fa innamorare di sé vari guerrieri. Alcuni di essi sono estratti a sorte per condurla a Damasco, da dove dice di essere stata scacciata, altri, stregati, lasciano il campo di notte per seguirla e finiscono imprigionati nel suo castello sulle rive del mar Morto.
Anche Rinaldo è costretto a lasciare il campo cristiano, perché in un duello ha ucciso un compagno che lo aveva calunniato.
Privato di molti dei suoi validi guerrieri, il campo cristiano viene attaccato da una schiera di predoni arabi capitanati da Solimano, affiancato da Argante e Clorinda. La battaglia, che si svolge di notte, sta per concludersi con una disfatta dei cristiani, ma la situazione viene rovesciata dall’arrivo dei guerrieri prigionieri di Armida, che sono stati liberati da Rinaldo.
I cristiani scatena l’assalto a Gerusalemme servendosi di una grande torre mobile.
Argante e Clorinda vengono incaricati di uscire nottetempo dalle mura e incendiare la torre d’assedio. Prima della missione Clorinda, di cui Tancredi è segretamente innamorato, viene a conoscenza delle sue origini cristiane.
Dopo aver incendiato la torre, Argante e Clorinda cercano di rientrare a Gerusalemme, ma Clorinda, inseguita da Tancredi, rimane chiusa fuori.
Tancredi non riconosce la donna amata, perché ella non indossa la sua solita armatura e, bloccata la sua fuga, la sfida a duello. Dopo una battaglia furibonda Clorinda viene ferita a morte e chiede al suo uccisore di battezzarla. Toltole l’elmo Tancredi scopre, disperato, di aver ucciso la donna che amava.
Per portare a termine l’assedio a Gerusalemme i cristiani devono costruire una nuova torre, ma il mago Ismeno getta un incantesimo sulla foresta presso la quale dovrebbero rifornirsi di legna. I crociati sono fermati da visioni terrificanti: lo steso Tancredi, colpito un albero con la spada, lo vede versare sangue e ode la voce di Clorinda che lo prega di smettere dei tormentarla.
Dio manda a Goffredo una visione, incitandolo a richiamare Rinaldo, l’unico guerriero in grado di rompere l’incantesimo. Due guerrieri, Carlo e Ubaldo, vengono mandati ala ricerca dell’eroe che, dopo varie peripezie, scoprono essere prigioniero della maga Armida, nel palazzo incantato delle isole Fortunate, in mezzo all’Oceano.
Dopo aver sconfitto mostri e incantesimi i due cavalieri scoprono che Rinaldo è tenuto da Armida come schiavo d’amore nel giardino incantato della maga. Carlo e Ubaldo riescono a rompere l’incantesimo e a convincere Rinaldo a tornare a Gerusalemme. Armida, innamorata di Rinaldo si dispera per l’abbandono e giura di vendicarsi contro i cristiani, unendosi all’esercito musulmano.
Rinaldo, dopo essersi purificato per le sue colpe, rompe l’incantesimo della selva. Nuove macchine da guerra possono essere costruite per dare l’attacco finale a Gerusalemme. Ne scaturisce la ferocissima battaglia finale, nel corso della quale si svolgono i duelli mortali tra i principali eroi del poema: Tancredi contro Argante, Rinaldo contro Solimano, Goffredo contro il capo dell’esercito egiziano. Al termine della battaglia il poema si conclude con l’immagine di Goffredo, dopo aver piantato il vessillo cristiano sulla città conquistata, si reca in preghiera sul sepolcro di Cristo.
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L’uno e il molteplice nella Gerusalemme Liberata
Nel poema è in atto un triplice scontro:
- Il” cielo contro l’inferno
- I cristiani contro i pagani
- Il “capitano” (Goffredo) contro i “compagni erranti”, coloro che si sono allontanati dall’impresa.
Secondo il critico letterario Sergio Zatti nella Gerusalemme Liberata esiste un’ambiguità di fondo: il contrasto tra la tendenza unitaria, propria del poema eroico (unica azione, unico eroe, unico luogo) e quella alla dispersione del molteplice, caratteristica del poema cavalleresco di tipo ariostesco.
Si è detto che l’unitarietà (la concentrazione verso la conquista di Gerusalemme, il riferimento ad un eroe centrale, Goffredo, che ha il compito di riportare i “compagni erranti” verso il dovere...) è caratteristico del campo cristiano, mentre il multiforme sarebbe invece caratteristico dei pagani.
Secondo Zatti, invece, non si tratta tanto del contrasto tra due religioni diverse, ma di un confronto tra due tendenze culturali tutte interne al mondo cristiano occidentale: i pagani, infatti, sembrano essere portatori di una concezione laica del mondo, molto vicina ai valori rinascimentali (l’individualismo, l’uomo artefice del proprio destino, la tolleranza per il diverso, la ricerca del piacere…); i cristiani, invece, sembrano essere portatori dei valori tipici della Controriforma (le aspirazioni individuali subordinate all’obiettivo religioso, l’accettazione di un’autorità che impone delle verità non discutibili, l’intolleranza verso il diverso, la soppressione dell’erotismo in nome di una severa moralità…).
I valori rinascimentali sono visti come forze demoniache. Infatti a Dio non si oppone Maometto, ma Satana; il pericolo non è tanto un’altra religione, ma sono piuttosto le spinte che portano alla disgregazione dell’unità dei cristiani (il riferimento è alla Riforma protestante).
Ma i valori “rinascimentali” sono presenti anche nel capo cristiano: molti eroi abbandonano il dovere per inseguire i propri sogni di gloria o l’amore. Si tratta appunto dei “compagni erranti” che verranno ricondotti al dovere della loro missione da Goffredo, il capitano che avrà il compito di ricondurre le spinte centrifughe dell’individualistica ricerca della soddisfazione personale all’unitarietà del dovere collettivo.
Se nel programma di Tasso c’è un tentativo sincero di adeguarsi ai codici religiosi, morali, politici e artistici della sua età (il rispetto delle regole fissate dalle autorità religiose e politiche, per es.), in realtà si avverte nel suo poema il fascino della “devianza”, della molteplicità, rappresentato dai valori rinascimentali. E’ evidente infatti la simpatia per gli sconfitti (come Argante, Clorinda e Solimano) e per gli eroi “deviati” (Tancredi e Rinaldo), personaggi psicologicamente più ricchi e complessi rispetto a quelli, come Goffredo, che incarnano pienamente i valori della Controriforma.
Seppure Tasso vorrebbe essere il perfetto cantore dei valori morali della religione della Controriforma, con l’esaltazione del sacrificio dei guerrieri impegnati nel loro santo obiettivo, in realtà si percepisce nel poema una carica di sensualità, un’attrazione per l’amore svincolato da ogni legge morale, per il piacere dei sensi. Questo carica di erotismo è ben percepibile negli episodi del giardino incantato di Armida, ma anche negli amori tragici e sofferenti che attraversano il poema, primo fra tutti quello di Tancredi per Clorinda.
Lo spazio e il tempo
Il poema è quindi in bilico tra la compattezza unitaria del poema epico antico e la varietà “caotica” del poema cavalleresco rinascimentale: l’unitarietà (lo spazio unico dell’impresa, rappresentato dalla Gerusalemme assediata; la centralità dell’impresa militare) è sempre messa in crisi, anche se mai disgregata, dalle storie parallele degli eroi che si allontanano dal campo di battaglia inseguendo desideri individuali.
Ne risulta uno spazio che, se non è lo spazio infinitamente vario e labirintico del Furioso (che va dall’Europa, all’Asia, all’Africa, fino alla Luna ed è rappresentato simbolicamente dalla “selva”in cui i cavalieri si aggirano alla ricerca sempre delusa degli oggetti del desiderio), non è neanche quello compattamente unitario dell’Iliade.
Lo spazio della G.L. è uno spazio limitato al cui centro si pongono la città assediata e il campo cristiano, ma attorno al quale si pongono dei “luoghi eccentrici”: sono i luoghi verso i quali si dirigono gli eroi che, spinti dal desiderio individuale, si allontanano dalla guerra (la campagna in cui si rifugia la principessa pagana Erminia, innamorata, senza esserne ricambiata, di Tancredi; il castello della maga Armida, sul Mar Morto; il giardino di Armida, nelle lontane Isole Fortunate…).
Lo “spazio della devianza”, oltre ad essere più o meno lontano dallo spazio principale del campo di battaglia, ne è anche assai diverso: è uno spazio di quiete, immerso in una natura pacifica e lussureggiante.
Anche il tempo narrativo è diverso da quello ariostesco: non c’è più il tempo sinuoso determinato dalla moltitudine dei fili narrativi che costringevano il narratore del Furioso a continui salti di tempo, necessari per riprendere le storie lasciate sospese.
Il tempo della G.L. è decisamente più lineare.
Si tratta inoltre di un tempo ristretto: così come l’Iliade narra una fase relativamente breve della decennale guerra di Troia, allo stesso modo la G.L. si concentra sulla fase finale e risolutiva dell'ultimo anno (il sesto) della Prima Crociata.